Yamaha YZF-R7 ad un passo dalla gloria.
Quella della Yamaha R7 è una storia che ha lasciato un po’ di amaro in bocca alla casa dei 3 diapason, infatti, Noryuki Haga, il pilota di punta, perse clamorosamente il mondiale SBK nel 2000 o quantomeno la concreta possibilità di vincerlo, a causa del decurtamento di 25 punti nel GP del Sud Africa e la squalifica e quindi l’impossibilità di partecipare all’ultimo GP della stagione in quanto trovato positivo all’ efedrina durante un test antidoping. Il Talento Giapponese sarebbe infatti arrivato all’ultima gara in Australia a solo 2 punti da Edwards.
La fine degli anni 90 furono anni di grande rivoluzione per le due maggiori case giapponesi decise in modo concreto a cercare di contrastare il dominio Ducati di quegli anni in SBK.
La Yamaha si rivoluzionò, in particolar modo nel 1997 e nel 1998, presentando nei vari saloni tre modelli di moto destinati a cambiare per sempre il panorama motociclistico mondiale, facendo un concreto passo avanti rispetto ai modelli sportivi precedenti e stabilendo dei nuovi riferimenti. Queste tre moto erano contraddistinte dalle sigle YZF – R (R1, R6 ed R7) tutte e tre caratterizzate da un layout simile, rivoluzionario e affilato ma anche da contenuti tecnici di massimo livello. Mentre le prime due venivano vendute senza limiti nella produzione ed ebbero sia un discreto successo che un evoluzione di modelli arrivato fino ad oggi, la R7 (nome progetto corse Yamaha Ow02) fu un modello unico e irripetibile, una moto costruita con un solo destino, raggiungere quel minimo di pezzi necessari per poter partecipare al mondiale SBK. La tiratura era limitata infatti a soli 500 esemplari e giocoforza venduta ad un prezzo proibitivo, per la maggior parte dell’utenza media, e fu fissato a 50 milioni di lire.
La versione stradale non era molto lontana dal modello che partecipava al mondiale SBK (per quanto riguarda le componentistiche di serie) ma in Italia arrivava con un motore molto depotenziato (106cv) per uno strano cavillo di legge, in quanto questa restrizione riguardava le moto Yamaha allora provenienti dalla Francia e Germania, dove vigeva questa (assurda) legge. C’era per fortuna la possibilità di sbloccarla per portarla a 138cv con il kit ufficiale yamaha, consistente in una nuova pompa benzina e una centralina che variava anticipo e consentiva di far funzionare gli altri 4 iniettori degli 8 esistenti. Con un altra più profonda elaborazione che riguardava ancora la centralina e con scarichi akrapovic si poteva arrivare alla bellezza di 170cv, potenza, che avrebbe reso questa moto praticamente una SBK versione stock. Complice anche un peso di serie di solo 170kg diventava un oggetto veramente interessante.Aumentando la potenza, sulle prime moto vendute, l’albero motore si rompeva , la Yamaha ritirò tutti i modelli con questo difetto e risolse il problema montando di serie degli alberi prodotti in inghilterra su specifiche F1. Nel 2000, neanche una 1000cc arrivava a tali quote di peso/potenza – una 750cc spaventosa – un motore spinto fino a una Potenza specifica di 230cv/litro…e ovviamente parliamo di una moto che per quanto fosse veloce e ben progettata, non aveva alcun controllo elettronico.
La Yamaha R7 aveva un telaio in alluminio Deltabox II ed un granitico forcellone “lungo” dello stesso materiale scatolato di derivazione dell’allora Yamaha YZR 500GP. Il pivot del forcellone é regolabile in altezza, per privilegiare maneggevolezza oppure trazione e stabilità. anche il canotto di sterzo è regolabile in inclinazione come sulla Ducati.
Per fare ciò la Yamaha vende delle bussole in ergal che variano sia l’inclinazione della forcella di +/- 0.5° , +/- 1° sia l’altezza di attacco nel telaio del forcellone di +/- 1 e +/- 2 mm. Il comparto sospensioni è composto da Forcelle ohlins da 43mm e mono anche esso ohlins, tutto regolabile. Il serbatoio é in alluminio ed é già predisposto per il doppio bocchettone rapido (per chi volesse correre qualche gara di durata…). Il motore era un quattro cilindri DOHC in linea di 749 centimetri cubici, raffreddato a liquido, dotato di valvola exup allo scarico, 5 valvole per cilindro, tutte e 20 in titanio che sono ritenute da doppie molle (per evitare risonanze a certi giri) e da piattelli in ergal ricavati dal pieno. I pistoni sono forgiati in alluminio e vantano il mantello ridotto all’osso. Il rapporto di compressione e’ di 11,4:1 e le dimensioni di alesaggio e corsa sono pari a 72mm x 46mm.
I corpi farfallati sono enormi e sono dotati di due iniettori per cilindro. Le bielle sono in titanio ad H rovesciata forgiate e lavorate CNC.
L iniezione elettronica è Mitsubishi e Il sistema comprende un sensore di caduta che spegne la moto quando supera una determinata inclinazione. Il kockpit era uno dei primi compatti con tachimetro a cristalli liquidi e contagiri analogico in bella vista su fondo nero
Questa moto oggi non ha un valore stabilito, come per tutti gli oggetti così rari e in tiratura limitatissima. Per quelle pochissime in vendita sono richiesti tra i 40 e i 70.000 euro. La Yamaha R7 è stata una moto straordinaria ma che comunque non è riuscita nel suo intento ed è anche grazie al talento di Haga se ha vinto diverse gare in SBK arrivando ad appena un passo dalla leggenda ma senza però entrarvi, e questo, insieme alla sua breve vita, è uno dei motivi che l’hanno spinta un po’nel dimenticatoio tra gli appassionati e non ha forse mai del tutto raggiunto quel lustro che avrebbe meritato una moto del genere.